Ero una bimba e i grandi ci vennero a riprendere da un campo dell'oratorio in Valchiavenna colmo di pioggia. Quel giorno splendeva finalmente il sole, sul mio paese trasfigurato.
Vidi acqua e fango ristagnare sull'asfalto e i marciapiedi, una sfumatura vulcanica senza senso. Poi la piazza principale, su cui si affacciava il terrazzino dei miei nonni, invasa da mezzi di soccorso e troupe televisive.
Vedere quello che non ti aspetti, la normalità trasfigurata fa salire il fango nello stomaco, anche se sei piccola e nessuno ti spiega le cose come stanno. Riassumevano tutti con 'ha piovuto' e facevano spallucce.
Allora ascoltai le voci dei grandi.
”Ussignur, la montagna è caduta, a volte capita e chi stava sotto ci è rimasto!"
"Sant Antonio Morignone è tutta coperta dall'acqua, spunta solo il campanile."
"Tutti sotto."
"E l'albergo a Tartano!"
"Ferito in mezzo. Nel ventre."
"Te lo ricordi lui? Io no. Io si, aveva anche i figli."
E tanti sospiri.
E poi la paura reale.
Paura dell'inevitabilitá, dell'essere nudi di fronte agli eventi, della precarietà della vita gracile, del destino che salva qualcuno per prendersi il vicino.
Lo ricordo bene, l'incertezza e il vuoto si aggrovigliarono dentro e lasciarono una traccia liquida che non si è mai impermeabilizzata.
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adoro i pensieri che seminate nel mio roseto...