16.8.17

Il ritorno dalle vacanze

Devi preparare le valigie, lasciare 40 gradi e tornare sui cuccuzzoli a smazzarti la grandine. Perchè la montagna ha pensato bene ci farti un preludio invernale ad agosto, giusto per mettertela in quel posto. Comunque ti tocca, e ti rendi conto che c'è stato un miracolo, la moltiplicazione dei vestiti che incombono come un torre di Babele sulla valigia. Chiedi allora al vicino di stanza più spallato che alto, di sedercisi sopra per chiuderla. Ecco allora che cominci a riempire il primo strato del bagagliaio. La macchina, ti guarda preoccupata e con le occhiaie. Il secondo strato lo lasci all'ombrellone a pois blu, le pinne sfiancate, la sdraio militare, i milioni di giochi da spiaggia. Poi nel poco spazio rimasto infili le scatoline con le conchiglie, la stella marina fucsia e il povero paguro bernardo finito tra le mani dei miei figli.
È quasi finita e saluti i meravigliosi amici pugliesi che, essendo gente di cuore, ti hanno preparato ceste di frutta e verdura nell'orto. Ecco allora l'ultimo strato, a dare al bagagliaio quel tocco di gitano-alluvionato alla macchina.
Baci e abbracci e un po' di malinconia agli abitanti della masseria. Loro intercettano il tuo sguardo bramoso verso la torta zebrata. Te la incartano immediatamente, tanto so' gentili. Continui a salutarli, baciarli sulle guance, perchè poi ti tocca stare tutto l'inverno con caproni. Ti siedi con la torta sulla pancia e le ginocchia in bocca. Chiudi la portiera. Si ricordano all'ultimo che ami le piantine e ti regalano un mazzo di menta piperita che ti spalmerai sulle punture di zanzara e l'aloe da ripiantate, perchè l'ultima è morta di stenti. Le infili nelle taschine della portiera. L'auto ora sembra un tiramisù con in cima un orto botanico. Getti un'occhiata e percepisci altro spazio vitale. Certo, mancano i figli. Li chiami e ti arrivano con un gattino. "No, bimbi, o voi o il gatto!"
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13.8.17

18 luglio 1987, alluvione in Valtellina

Ero una bimba e i grandi ci vennero a riprendere  da un campo dell'oratorio in Valchiavenna colmo di pioggia. Quel giorno splendeva finalmente il sole, sul mio paese trasfigurato. 
Vidi acqua e fango ristagnare sull'asfalto e i marciapiedi, una sfumatura vulcanica senza senso. Poi la piazza principale, su cui si affacciava il terrazzino dei miei nonni, invasa da mezzi di soccorso e troupe televisive.
Vedere quello che non ti aspetti, la normalità trasfigurata fa salire il fango nello stomaco, anche se sei piccola e nessuno ti spiega le cose come stanno. Riassumevano tutti con 'ha piovuto' e facevano spallucce.
Allora ascoltai le voci dei grandi.
”Ussignur, la montagna è caduta, a volte capita e chi stava sotto ci è rimasto!"
"Sant Antonio Morignone è tutta coperta dall'acqua, spunta solo il campanile."
"Tutti sotto."
"E l'albergo a Tartano!"
"Ferito in mezzo. Nel ventre."
"Te lo ricordi lui? Io no. Io si, aveva anche i figli."
E tanti sospiri.
E poi la paura reale.
Paura dell'inevitabilitá, dell'essere nudi di fronte agli eventi, della precarietà della vita gracile, del destino  che salva qualcuno per prendersi il vicino.
Lo ricordo bene,  l'incertezza e il vuoto si aggrovigliarono dentro e lasciarono una traccia liquida che non si è mai impermeabilizzata.